“Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.
Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio”.
(Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, pp. 169-170)
Così scriveva Etty Hillesum, un’ebrea olandese di Amsterdam, una domenica mattina del 1942, mentre fuori infuriava la persecuzione nazista.
Care Amiche ed Amici,
Vi offriamo queste parole di Etty per dirci l’oggi che stiamo attraversando; siamo dentro un cambiamento di epoca e non sappiamo se e quando arriveremo ad un tempo altro. Ogni frammento di oggi è già attraversato dalla salvezza. Non c’è una fine, oggi, e poi il principio; non camminiamo al buio, a tentoni; stiamo “passando” (per dirla con una lingua antica, l’aramaico, è un pasah, per dirla in ebraico è pesach, per dirla in italiano è pasqua).
Abbiamo scelto l’affresco di Mino Cerezo del 1977 realizzato in Colombia, a Medellin, per la sede della Conferenza Episcopale (l’edificio è stato successivamente venduto alla polizia) e non sappiamo se è ancora visibile. È un documento storico di morti attraversati dall’uomo/dio, morto e risorto.
Noi oggi pensiamo alla Siria, al Congo, al Sud Africa, al Bangladesh, alla “terza guerra mondiale a pezzi”, alle nostre liti quotidiane, alle nostre paure dell’altro per cui diventiamo feroci nel difenderci e nell’aggredire.
Viviamo, questo è l’augurio, con gli occhi aperti alla realtà raccogliendo l’essenziale, da umani, per salvare Dio.