febbraio 2022
Carissimi,
ieri, ultimo giorno di febbraio, la casa sul pozzo è diventata un piccolo porto di raccolta di indumenti e cibo da far arrivare in Ucraina. Le giovani mamme del Cambioarmadio, alcuni ragazzini, soci e volontari hanno fatto fronte al lavoro.
Inizio questa lettera con questo gesto solidale che dice come stiamo vivendo questi tempi duri: condividere qualcosa con chi è nella difficoltà di vivere.
Ancora nella serata di ieri abbiamo presentato il libro Mino curato da Emanuela Pizzardi e da me, pubblicato dalle edizioni Teka. E’ una guida di 368 pagine con molte illustrazioni. È il risultato di un intenso lavoro di impianto e di redazione. Alla presentazione hanno partecipato molti soci e volontari della casa; Mino Cerezo è intervenuto on line da Salamanca e Fran Ros di Assisi producciones da Valencia. Presenti on line alcuni confratelli del Governo generale dei clarettiani.
Celebrare e raccogliere i 90 anni di Mino (li compirà il 4 agosto prossimo) è il segno della fraternità che lega tutti noi a lui, al suo modo di raccogliere e trasmettere la Parola ai poveri, della quale è servitore felice. Mino ha vissuto un tempo ampio e senza sconti della sua vita in America Latina; dal 2005 è tornato in Europa e vive nella casa clarettiana di Salamanca.
All’inizio della serata ho tracciato il legame con Mino, partendo dal marzo 1989 in Panama. Nel febbraio del 1994 lo invitiamo a Lecco e per un incontro pubblico che si svolge nell’istituto Bovara.
L’anno seguente inizia fortuitamente una collaborazione tra noi. Mino era stato richiesto da un sacerdote parroco in un paese vicino Lecco per affrescare nella sua parrocchia; il sacerdote viene cambiato di servizio e il suo successore non desidera aderire al piano precedente. Mino mi scrive dicendo di avere un tempo già programmato per l’Italia e si mette a nostra disposizione. Comincia quello che diventerà nel tempo un abitare, progettare, realizzare, comunicare insieme, prezioso.
Mino realizza le prime tre parabole vivendo delle settimane con noi, stringendo amicizia.
La collaborazione si sviluppa con l’utilizzo di tanti disegni e sue opere di Mino per le pubblicazioni in Italia, particolarmente il calendario annuale.
Nel 2010, nella nuova sede dell’associazione, la Casa sul Pozzo, Mino vive un tempo realizzando affreschi, un’opera in ceramica, dividendo tempi e fraternità.
Dall’Università di Udine ricevo una telefonata di Mario Sartor, docente dell’arte latinoamericana, che si dichiara molto interessato all’opera pittorica di Mino. Propone una tesi di laurea a una sua studentessa, Sara Favre.
In antecedenza due altri amici vengono a casa nostra a raccogliere materiali su Mino, il più interessante è Jesùs Maria Martinez che trasformerà il tutto in una tesi di laurea nel 2005 conseguita presso la Pontificia Università Salesiana di Roma.
Nel 2012 Mino ritorna alla casa sul pozzo per la presentazione di un libro dedicato a lui e alla pittura religiosa latinoamericana. Il libro è scritto da Sara Favre.
Ho abbondato in questo itinerario perché rimanga una traccia di come si è andato costruendo un rapporto di stima, di affetto e di profonda e intensa collaborazione con Mino.
La nostra casa è segnata dalla presenza di opere di Mino, e dal suo stile di accogliere, di partire sempre dalla realtà, dal trovare il bello nascosto tra le pieghe della vita di ogni singolo abitante, il che diventa spazio progettuale di relazioni e di futuro.
Emanuela Pizzardi si è fatta carico di raccogliere i testi di Mino, le integrazioni, traccia con cura le connessioni e il libro che viene pensato come guida all’opera pittorica ed alla vita missionaria di Mino, fino ad arrivare a questo periodo dove frequenta maggiormente l’astratto sempre partendo dalla realtà.
In un video abbiamo detto che Mino è uno dei preziosi abitanti della casa. Il suo segno è comunicante bellezza e interrogativi, forza e quotidianità. La sua vita ha il sapore della tavola familiare ricca di condivisioni.
Il 23/24 febbraio siamo andati e tornati da Salamanca Emanuela Pizzardi ed io per presentare a Mino e a Fran le prime copie del libro. Un’esperienza notevole per tutti.
Per raccogliere e raccontare ancora questo febbraio annoto due morti che ci hanno colpito: quella di don Alberto Vigorelli, amico da tanti anni, educatore di scout, dialogante con la gente in Perù e Burundi, fondatore del gruppo del Pellegrino di Cantù al quale appartiene il nostro don Flavio Colombo e altre amiche e amici della prima ora, Carmen e Francesco Verga.
don Carlo Molari è morto a Cesena il 19 febbraio nella casa di riposo “Don Baronio”, aveva 93 anni.
Ho un debito di riconoscenza e di affetto a chi è stato mio maestro di vita e di teologia negli anni universitari all’Urbaniana a Roma.
Lo abbiamo avuto ospite a Gressoney nel convegno Immagina la tua vita condivisa del 1984, poi a Lecco e ancora a Gressoney nell’autunno. L’ultimo incontro è avvenuto a Parma nel 2017 nella comunità Betania di Marore. Invito ad un pensiero di riconoscenza e di benedizione.
Un altro fatto importante nella vita dell’associazione è stata l’elezione del nuovo consiglio di Amministrazione dell’associazione comunità di via Gaggio. Lo abbiamo fatto il sabato 5 febbraio, nel pomeriggio.
Questi i risultati: Doretta Panzeri, presidente e poi eletti: Emanuela Pizzzardi, Massimo Pelladoni, Giuseppe Colombo, Renata Menaballi, Daniele Togni, Lorenza Pozzi.
Sono molto contento di questo passaggio e di questa nuova composizione della guida dell’associazione.
Doretta Panzeri ha offerto nel passato la sua competenza di sguardo educativo che va dal rapporto con le persone alla serietà della gestione economica; è certamente una guida attenta a tutti.
Il risultato di questa votazione dice che la gente di via gaggio è matura per un cammino adulto e laicale, che ha colto nell’esperienza carismatica di un istituto un suo riferimento, che si può e si deve dialogare e collaborare sullo stesso piano, che è quello che Gesù ci ha insegnato, dal basso per essere utili alla gioia di ognuno.
Ritorno in chiusura di queta lettera al pensiero della guerra e copio un breve testo di Marina Corradi da Avvenire di oggi.
Sulla riva della Dnepr, nel fango melmoso della neve che si scioglie, c’è un carro armato russo, centrato in pieno da una bomba. Sventrato: i carristi ne sono stati proiettati fuori e giacciono morti a terra. In un video che gira sul web un gruppo di soldati ucraini avanza a piedi verso il carro nemico. Parlano a voce alta, sono eccitati, si indicano i rottami, li prendono in mano, ridono. “Suka!”, continuano a ripetersi l’un l’altro festosi. I passi si avvicinano al carro sfasciato, “Suka!”, “Suka!”, esultano i ragazzi. Cagna, puttana vuole dire quella parola, parola di rabbia e di esultanza feroce. L’invasore non è invincibile, il nemico questa volta è morto. E nessuna pietà per quei corpi, già induriti dal rigor mortis. Erano ventenni russi delle regioni più lontane, mandati a un fronte che non conoscevano nemmeno. «Non sapevamo di dovere attaccare l’Ucraina», ha detto uno di loro, catturato. Appena sotto il casco ne vedi la faccia di ragazzo di vent’anni, quasi imberbe. Mio Dio, pensi a sua madre, a una ragazza che forse gli vuol bene. E invece questi altri, pure così simili a lui, che esultano della morte dei nemici. Erano ragazzi che avrebbero potuto incontrarsi in uno stadio, e bere birra assieme, aspettando la partita. Erano soltanto ragazzi. La guerra è un ordine: odiatevi. E in quell’ordine la faccia degli uomini trasfigura.
Angelo